Quel disagio urbano che colpisce anziani e giovani

(Tratto da Avvenire del  15 giugno 2017 - di Elisa Manna)

Beata solitudine! Non sono pochi quelli che sottoscriverebbero questa esclamazione: la condizione di isolamento può essere cercata come una modalità per stare con se stessi, per riflettere profondamente o solo ritagliarsi uno spazio di tranquillità. Di più. Nelle riflessioni di poeti, scienziati e artisti di genio spesso ci si imbatte in un'aspirazione gioiosa alla solitudine, vista come momento creativo, come atto di indipendenza dalla futilità della quotidianità, come rifugio meraviglioso per ritrovarsi con i propri pensieri. Da lung a Picasso molte personalità eccellenti hanno celebrato la solitudine come antidoto perfetto alla banalità. Ma non è di questo tipo di solitudine, agognata e corteggiata, che vogliamo parlare. La solitudine su cui vogliamo richiamare l'attenzione è quella subita, temuta, inutilmente esorcizzata con i mille, piccoli passatempi che riusciamo a inventare, quasi a frapporre tra noi e "lei' un'invisibile muraglia. Parliamo delle giornate che non finiscono mai perché nessuno sguardo, nessun sorriso viene a illuminarle; le giornate in cui ci si sente abbandonati e dimenticati, le ombre della sera che vengono a inquietarci perché non ci sono braccia che ci cingono le spalle a confortarci. Parliamo di quel lasciarsi andare, di una trascuratezza che avvolge a poco a poco tutte le nostre azioni, tutti i momenti delle giornata. Non si tratta di indulgere in suggestioni tardoromantiche. Proprio no.