Spesso il male di vivere ho incontrato di Eugenio Montale
(tratto da www.sololibri.net)

Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Commento

Questa poesia esprime perfettamente il correlativo oggettivo montaliano, cioè quel rapporto che la parola intesse con gli oggetti che nomina.
Stabilito ciò, è facile capire come la sofferenza di vivere sia rappresentata in maniera emblematica dal ruscello che fluisce faticosamente, dalle foglie che si accartocciano perché riarse dal sole, dal cavallo che, esausto, stramazza.
Tutte queste vivide immagini vengono riproposte come aspetti della realtà e di un quotidiano segnato dalla sofferenza degli uomini. Il senso di fatica e quello di dolore sono espressi magistralmente da Montale con l’accurata scelta dei vocaboli, crudi e duri nell’espressione del disagio (es. stramazzato, strozzato). Il fatto che siano parole in cui le lettere s e r si ripetono costantemente non fa altro che accentuare ancor di più l’asprezza.

Una volta snocciolati i modi in cui il male si manifesta in tutto ciò che ci circonda in maniera costante, Eugenio Montale propone un’unica soluzione: la “divina Indifferenza”. La i maiuscola non è, come facilmente intuibile, posta a caso. Lo scopo è quello di deificare il distacco e la freddezza, rappresentati in questa poesia da tre elementi: la statua (perché insensibile), la nuvola (perché impalpabile e lontana) e il falco (perché libero nel cielo).
L’atmosfera, caratterizzata da immobilità ed estraneità, è percepibile anche attraverso il meriggio, momento sospeso tra torpore e stupore e caro a Montale.